Quello che segue è il testo del mio intervento alla Camera del Lavoro di giovedì scorso, quando ancora non sapevo che l’assemblea sarebbe stata chiusa e liquidata e prima di apprendere della reazione che, pochi giorni dopo, si sarebbe levata da un gruppo di cittadini non disposti a farsi imporre la chiusura unilaterale.
Il mio è stato un pacato contributo al confronto, non una rivendicazione di purezza.
Se le 3 persone che hanno immaginato ApP e l’hanno creduta possibile sono oggi concordi a dire che questa non è l’ApP delle origini, supplico l’assemblea di coltivare almeno il dubbio, senza pregiudizi e con il rispetto umano per la sofferenza di chi vi sta parlando.
Non è obbligatorio mantenere fede alle premesse/promesse iniziali, ma ognuno deve aver chiaro cosa voleva, cosa vuole oggi, senza rincorrerci a chi ha più paternità su un nome o un logo.
Le parole hanno un peso: non parliamo allora di rischio rottura, ma prendiamo a prestito il termine usato dal Segretario PD l’ultima volta che ci siamo ritrovati in questa sala, subito in coda al suo famoso “ne prendo atto”.
Silvio Bisotti ha parlato - non fossero soddisfatte le condizioni del Partito Democratico - di percorso destinato non più a essere sovrapposto ma parallelo, auspicando la possibilità di un nuovo incontro futuro (ovvio riferimento al 2° turno).
PERCORSO PARALLELO spero sia utile a favorire un dibattito civile nei toni. Di certo serve anche a chiarire che non sono stati i c.d. “dissidenti” i primi a paventare la fine della c.d. sovrapposizione.
ApP nasce per costruire la casa del centro-sinistra a Piacenza. Una casa, si badi, solida dalle fondamenta al tetto, capace di resistere alle intemperie della campagna elettorale ma, soprattutto, alle tempeste del governo futuro.
Ho detto e ripetuto che le primarie sono un finto problema. Il punto sono le condizioni. A dicembre ho sostenuto che, se c’erano le condizioni, le primarie si sarebbero potute organizzare a partire dal giorno dopo.
Per me il presupposto è presto detto: le primarie si possono vincere o perdere. Se le vinco, devo essere sicuro di avere il sostegno degli sconfitti. Se le perdo, ancora più importante è per me sentirmi intimamente pronto a sostenere chi ha vinto.
Io oggi, onestamente, non mi sento in questo stato d’animo.
Appurare che c’è chi ancora nutre una spiccata diffidenza, per non dire altro, verso molti dei protagonisti di questa storia e i loro mondi di riferimento, mi conferma che la pietra angolare su cui avrebbe dovuto poggiare ApP è tutt’altro che salda.
Sapere che tra noi c’è una corrente di pensiero che considera il lavoro di un anno alla stregua di una traccia nelle piene facoltà del/la candidato/a, che potrà disporne a piacimento, persino cestinarla, mi pone di fronte a una condizione lontana anni luce dall’ApP delle origini.
Avere la certezza che c’è chi attribuisce al/la candidato/a il diritto di scegliersi il perimetro della coalizione, rinunciando con piacere ad alcune componenti per guardare verso altre che oggi nulla c’entrano, mi dà il senso di un progetto a rischio ribaltone.
Chi ha creduto nella forza innovativa di ApP e stasera è qui in assemblea, lo aveva messo in conto? È disponibile a condividere queste impostazioni pur di provare a vincere? Possiamo in coscienza ritenerli problemi secondari che non presenteranno il conto un domani in giunta e in consiglio, condannandoci, ben che vada, a governare in modo gattopardesco, fingendo di cambiare tutto per non cambiare in realtà niente?
Io queste domande me le faccio, tutti i giorni, da più di un mese e in coerenza mi sono risposto che così farei fatica a sostenere il/la vincitore di qualcosa che snatura ApP.
Per quel che vedo, leggo, ascolto (frasi di circostanza a parte) nessuno dei protagonisti - a prescindere dall’appartenenza, oggi, farebbe meno fatica di quella che farei io. Può ognuno dei presenti porsi in tutta sincerità queste stesse domande?
Sono stato oggetto di scherno per la mia insistenza nel sostenere che vincere NON è l’unica cosa che conta. Ma intendevo proprio quello che sto cercando di spiegare con parole diverse stasera.
La casa del centro-sinistra deve provare a vincere per cambiare davvero, non per sostituire con le stesse dinamiche chi c’è adesso.
Se mancano certe pre-condizioni, la casa non è più casa: al massimo è una QUINTA TEATRALE - come quando ci sono solo le facciate coi pali di sostegno sul retro. Forse potrebbe reggere alle folate delle elezioni, ma con le buriane dell’amministrazione, su queste basi, sarebbe destinata a crollare come la capanna di paglia dei tre porcellini.
“Paolo è il candidato del centrosinistra e avrà l’appoggio di tutti”.
Ieri sera in chat ho letto queste belle parole del compianto Francesco Cacciatore, uscito sconfitto dalle primarie del 2012 contro Paolo Dosi e, da signore qual era, prontissimo a lanciare il neo-candidato sindaco in vista delle elezioni del 6 maggio.
Inutile girarci intorno: Francesco manca, umanamente e politicamente. Aveva sposato in pieno il progetto e oggi sarebbe di grande aiuto.
Per rispettarne la memoria, la storia conviene però ricordarla tutta.
Nel giro di 3 giorni, a inizio giugno 2012, il nuovo Sindaco si presentò a palazzo Gotico con alcune sedie vuote, proprio per la rinuncia - tra gli altri di Francesco - che tornò poi in sella come vicesindaco, salvo subire il rimpasto a inizio 2014.
Conosco bene la storia, essendone stato in parte involontario protagonista.
So bene quale clima aleggiava allora, a dimostrazione che senza i giusti presupposti, forzare soluzioni è solo rimandare a dopo l’inevitabile resa dei conti.
Se quella è la strada, quale importanza può avere chi vince, se non per bulimia di personalismi e spiccato desiderio di potere fine a se stesso?
Tra l’altro, io penso che Patrizia Barbieri oggi sia figlia di quel 2012, con gli sviluppi di un mandato che hanno portato poi a lotte intestine (e non) senza sosta, sfociate nella scelta, in casa Pd, di un candidato di compromesso tra fazioni contrapposte, coi risultati che tutti sappiamo.
Ecco, a chi oggi dice, qualcuno peccando di un purismo fuori luogo sui social, con commenti caustici seduto comodo su un divano, che l’esperienza del 2017 non è servita a niente, mi sento di rispondere che è l’esatto contrario: dimostriamo di aver capito la lezione insistendo sulla genuinità di un progetto nato per creare la casa e che non si accontenta di una quinta teatrale.
Della lezione di Francesco Cacciatore, mi tengo il suo insistere sul risultato di ApP di aver fatto seppellire l’ascia di guerra tra i partecipanti.
Qui dentro non vedo avversari, men che meno nemici.
Per il resto, non ho la soluzione.
Aiutiamoci a capire se esiste la via per una casa solida o se, a questo punto, tanto vale quel PERCORSO PARALLELO anticipato dal Segretario del PD, che trasforma in primarie di fatto il primo turno delle elezioni.
Sperando ovviamente che la città ci conceda ancora, al ballottaggio, la possibilità di imparare una volta per tutte dall’esperienza e battere questa destra, per governare un cambiamento autentico e risoluto - autentico e risoluto - e non di facciata.