“Il rischio è quello di una unità solo di facciata, di anime in irriducibile conflitto sotterraneo che provano a stare insieme con lo sputo a beneficio solo della scena”
(Gustavo Roccella, Libertà - 25 gennaio)
Molto è successo negli ultimi giorni e, a guardare il bicchiere mezzo pieno, si dovrebbe riconoscere che è stato un bene per ApP.
Dal mio punto di vista, lo scotto pagato da un dibattito pubblico che ha raggiunto senza filtri i cittadini è ampiamente ricompensato dalla dimostrazione di un percorso effettivo da “casa di vetro”, che non teme di nascondere le difficoltà e di testimoniare gli sforzi per superarle.
Il coraggio di dire che “il re è nudo”, di chi ha continuato a sostenere opinioni sincere, anche se non allineate (non importa qui e ora se azzeccando o sbagliando i modi - non certo i tempi, essendosi trattato della risposta a un ultimatum), è servito a risvegliare coscienze dal torpore di una piega che si stava consumando obtorto collo, sotto scacco del nobile principio dell’unità, che però, o è riempito di contenuti, o ci porta lontano dall’onestà e trasparenza che dobbiamo ai cittadini.
Alternativa per Piacenza, lungi dal chiedere ai partiti un passo indietro, rappresentava - e potrebbe ancora farlo - la straordinaria possibilità degli stessi di riconnettersi in modo profondo con gli elettori, ergendosi a protagonisti di un rinnovato metodo politico, in cui persone comuni e apparati tornano a parlarsi e influenzarsi reciprocamente.
Senza voler scomodare Enrico Berlinguer e il suo “entrate e cambiateci” rivolto ai giovani, non v’è dubbio che ApP sia nata per dare una chance di autentica militanza attiva a chiunque, per far capire che la politica non è solo lamentela, indifferenza o, al massimo, ratifica delle decisioni altrove assunte, da pochi altri prese.
Oggi i fatti ci dicono di un’assemblea liquidata senza interpellare i partecipanti, del rigetto di questa ipotesi che si è levato dalla base, con accorato appello a moltiplicare gli sforzi per l’unità, della immediata disponibilità (benché condizionata) di chi, ingenerosamente, è stato etichettato come dissidente.
Della risposta, infine, di un tavolo politico che ha colto il polso dell’opinione diffusa, dicendosi pronto a un reciproco ammorbidimento dei toni.
Questo lo stato dell’arte.
Francesco, uno dei giovani che giovedì scorso ha parlato da giovane, e non da giovane/vecchio, con una sintesi da applausi ha centrato il vero punto dirimente, senza il quale ogni tentativo sarà vano: la FIDUCIA.
Io penso che per tornare a coltivare questo sentimento, occorra congelare le posizioni contrapposte.
Metta in pausa l’incrollabile contrarietà alle primarie, chi la cova in quanto mutazione genetica del progetto di ApP: coi giusti presupposti, non sono il male assoluto, lo dico dal primo giorno.
Metta in pausa la non negoziabile imposizione delle primarie, chi al momento insiste a dimostrare la propria forza, giustificando il tutto con la mancata convergenza su un profilo unitario dentro il tavolo politico.
Intanto, non confondiamo “unitario” con “unanime”, le due definizioni non stanno insieme, a meno di non essere a Pyongyang.
Posto che è una larga maggioranza di consenso quella che andiamo cercando, si è partiti perché la stessa uscisse dal tavolo politico. Su questo siamo tutti d’accordo.
Così fosse avvenuto (poniamo pure che non sia successo), tutti avrebbero applaudito la capacità di sintesi di 25 persone in grado di scegliere la candidatura, una base comunque molto più larga di quella che, nel 2017, individuò il candidato Paolo Rizzi.
Ripartiamo da qui. Stop momentaneo alle visioni polarizzate che ci dividono.
Rimettiamo al centro il dialogo, la POLITICA.
Fallito il tentativo del tavolo, diamo spazio al passaggio naturale in assemblea, un contenitore decisamente più vasto di persone, che hanno donato un anno del loro tempo e impegno, al quale non si vede perché togliere il diritto di conoscere PRIMA la platea di potenziali candidature, ascoltare le loro idee, fare domande e valutare se fra queste almeno una possa essere in grado di intercettare la larga maggioranza per emergere.
D’altronde, se si era disposti a sostenere la capacità di sintesi di un consesso di 25 persone, sarebbe incoerente e contro intuitivo non dare anche una possibilità a un’assemblea di 150, o no?
Se, fatto questo rispettoso passaggio (con figure in carne e ossa e non nomi letti sul giornale) in ultima analisi, anche l’assemblea si dichiarerà, in un sereno confronto di posizioni, non in grado di prendere una decisione adeguatamente condivisa, il naturale approdo saranno le primarie di coalizione.
Beninteso, tra l’altro, che quest’ultima soluzione ha sì il merito di rivolgersi a una base più ampia, ma impone di inficiare proprio il principio della larga maggioranza, accettando che a vincere possa essere chi prende un voto in più dell’avversario.
È una proposta credo di buon senso, senza tatticismi, che spera di non trasformare in Cassandra un bravo cronista che scrive del rischio - e come dargli torto - di “unità solo di facciata, di anime in irriducibile conflitto sotterraneo che provano a stare insieme con lo sputo a beneficio solo della scena”.